Il fondatore del Centro
Un leader è colui che conosce la strada, fa la strada e mostra la strada.
il fondatore
Testo delle parole di cristiano commento nei riguardi di padre Michele Casali pronunciate dal priore del convento P. Riccardo Barile durante il rito dell’Ultima Raccomandazione e Commiato – Basilica di San Domenico, Bologna, 15 giugno 2004
Michele Casali nacque a Milano il 29 luglio 1928 e, dopo aver conseguito la maturità e frequentato studi giuridici alla facoltà di giurisprudenza di Valencia in Spagna, l’8 aprile 1951 bussò alla porta di questo convento. Dopo un breve periodo di prova, vestì l’abito religioso il 22 dello stesso mese, trasferendosi a S. Domenico di Fiesole per l’anno di noviziato. Maturata la decisione di restare, a Bologna confermò il suo proposito per alcuni anni con la professione temporanea il 27 aprile 1952 e si legò definitivamente all’ordine domenicano il 2 ottobre 1955. Seguì l’ordinazione sacerdotale il 22 settembre 1956 e una ininterrotta presenza in questo convento sino alla morte.
Per non risultare ingannevole, la sequenza delle date, simile a quella di tanti confratelli, ha da essere letta alla luce di quanto precedette il suo ingresso in convento.
I genitori erano Ercole, di origine romagnola e impresario di teatro, e Maria Llacer, spagnola e cantante lirica nel registro sopranile. Dunque il piccolo Michele si aprì alla vita tra scale cromatiche, sopracuti, contratti da mettere a punto, viaggi, bon ton da apprendere per vivere in albergo, e soprattutto bevve la filosofia dell’impresario secondo cui, come sosteneva il mitico Barbaja che scritturò Rossini per il S. Carlo di Napoli, i critici possono disquisire finché vogliono, ma il miglior spettacolo è quello che riempie il teatro. Michele continuò il mestiere del padre e, giunto in convento e avviato alle attività apostoliche, mise a frutto quanto appreso perseguendo contatti con un mondo un po’ estraneo al solito giro, con orari e consuetudini non facilmente componibili con il ritmo conventuale. Tutto questo provocò intuibili difficoltà e tensioni interne, ad esistenza conclusa possiamo dire felicemente risolte. Il simbolo – insieme serio e umoristico – della sua vita è la visita canonica al convento di Bologna tra gli anni ’50 e ’60 da parte del Maestro generale dell’Ordine padre M. Browne, irlandese e in seguito cardinale. Padre Michele mi raccontò che il Generale gli domandò se nel convento vigeva una sana disciplina, se i frati erano presenti alla preghiera, se osservavano gli orari ecc. Al che egli rispose sempre: «Tutti, tranne io». Poiché il Maestro generale era un po’ sbigottito, padre Michele spiegò: «Reverendo padre, questo sarà quanto gli diranno di me i confratelli; tanto vale che glielo anticipi». La visita si concluse salutando il Maestro generale, ma questi, sulla porta, voltandosi verso padre Michele e ridendo di gusto, disse forte di fronte a tutti: «Padre, l’hanno detto!». In seguito e allo stesso modo altri superiori gli vennero incontro accettando in lui una misura di vivere che, come la sua taglia, non poteva essere di tutti.
Torniamo ora al doveroso “il catalogo è questo” dei fatti e delle date.
All’interno dell’ordine domenicano, padre Michele fu promotore provinciale delle missioni, della formazione permanente, di Giustizia e Pace. Dal 1978 al 1980 fu incaricato di riorganizzare la curia generalizia a Roma e nel 1998 curò l’ufficio stampa del capitolo generale di Bologna. Prima (dal 1957 al 1960) aveva avviato le settimane teologiche di Bologna e i convegni di teologia a Recoaro Terme.
Nell’archidiocesi di Bologna fu incaricato dell’apostolato verso i nomadi (1961-1970); membro della commissione per l’applicazione delle norme del Concilio Vaticano II (1966-1969); direttore dell’Ufficio pianificazione e sviluppo delle nuove chiese (1969-1975); assistente dell’Unione cattolica stampa italiana (1985-2003).
Per quanto riguarda la società civile, nel 1990 venne creato Commendatore della Repubblica e nel 1985 iscritto all’albo dei giornalisti. Fu inserito in diverse commissioni o consigli: il Nucleo di valutazione regionale sulle Associazioni culturali (1985-1994), la Commissione di Bioetica per gli ospedali S. Orsola Malpighi (dal 1995), l’Istituto per la Storia di Bologna (1992-1995). Nel 1990 fu insignito del Nettuno d’oro dal Comune di Bologna.
Resta inteso che l’iniziativa più conosciuta e con la quale si identificava fu dal 1970 la gestione del Centro San Domenico, già iniziato in sordina ma bisognoso di un direttore che ne fosse una sorta di nuovo fondatore carismatico. In quel mitico 1970 – la matematica insegna che erano trascorsi solo due anni dal 1968 – padre Michele diede inizio anche alla Ostaria delle Dame, dove, banditi i superalcolici e bevendo rigorosamente vino, si ritrovavano nomi che poi divennero famosi per la canzone d’autore, ad esempio Francesco Guccini, ma non solo lui. Più o meno nello stesso anno si radunò intorno a padre Casali un gruppo giovanile con una “messa dei giovani”, con le chitarre e i canti ritmici, come di moda quarant’anni fa.
Il trascorrere del tempo, tutto avvolgendo, tutto ha trasformato.
L’Ostaria adagio adagio uscì dall’orizzonte di padre Michele.Al Centro San Domenico si affiancò la cooperativa I Martedì con l’omonima rivista, cui padre Casali collaborò con articoli e apprezzati editoriali, assumendo collateralmente la direzione di Saecularia Nona, edita dall’Università di Bologna.
Il Centro è rimasto e la sua storia nonché la sequenza degli oratori illustri è troppo nota per essere qui ricapitolata, anche se non si può tacere che il card. Karol Wojtyla vi tenne una conferenza. Ricordiamo invece che il Centro si andò sempre più configurando come un luogo di costante confronto sull’attualità e sulla cultura con la presenza di personaggi noti e meno noti; un areopago dove tutti, anche se appartenenti a tradizioni culturali diverse, si trovavano e si trovano a loro agio, naturalmente – è questo l’apprezzabile – senza dover pagare il prezzo di vendere o peggio svendere le loro convinzioni.
I giovani della “messa dei giovani” sono cresciuti e non suonano più la chitarra, ma, continuando a frequentare padre Michele, ne nacque per molti un rapporto evolutosi nella costante celebrazione del sacramento della penitenza o anche solo nel colloquio, qualora una crisi di fede o una carenza della stessa sconsigliassero la celebrazione del sacramento. Per essi e per tantissimi altri venuti dopo, da anni padre Casali ogni giorno si rendeva presente e disponibile in questa Basilica con cronometrica puntualità dalle 17 alle 19.
Nell’atto di accomiatarci da padre Michele, rendiamo grazie a Dio per il dono a lui concesso di una vita come spettacolo, espressione che può suonare frivola o deprezzante solo per chi non conosce le Scritture. Infatti secondo Lc 23,48 Cristo crocifisso è uno spettacolo – in greco theoria – e gli apostoli in 1Cor 4,9 sono diventati spettacolo – in greco theatron – al mondo, agli angeli, agli uomini. E che cosa c’è da mettere in scena? Le opere buone, che nel testo greco sono “opere belle” (Mt 5,15; Tt 2,14; Eb 10,24; 1Pt 2,12). Padre Casali ebbe il carisma di mettere in scena quanto di bello e di buono c’era e c’è nel convento di san Domenico in Bologna, nella Chiesa, nel mondo creato da Dio, sia perché ne aveva le naturali doti, sia perché era cresciuto come “figlio d’arte”.
Ma nell’atto di accomiatarci da padre Michele preghiamo per noi e per lui. Per noi perché quanto ci ha lasciato continui, pur nella consapevolezza che la normalità degli eventi umani e la fantasia di Dio sconsigliano di illudersi che vi sarà qualcosa come un clone di Casali. Per lui, perché non vogliamo canonizzare nessuno, ma riconoscere che ogni vita, anche dopo la morte, spesso è difettosa e ha da essere purificata. Il nostro ricordo e la nostra preghiera sono anzitutto per questo e lo affidiamo alla misericordia del Padre. Al termine di ogni spettacolo riuscito non basta applaudire gli interpreti. Noi cristiani, come il divino Bach scriveva sugli spartiti – magari solo per provare la penna ma lo scriveva -, preferiamo concludere con “Soli Deo gloria“: solo a Dio la gloria.