Anno Sociale: 2017 – 2018
I Martedì di San Domenico
Martedì 27/02/2018
Ora evento:
21.00
Diseguaglianza: perché ci interessa?
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Gli esseri umani e le società sono caratterizzati da profonde diseguaglianze. La teoria politica si è posta fin dall’inizio, quanto meno da Platone, il problema della miglior forma di governo e la questione di che cosa giustifichi le diseguaglianze. Partendo dall’ovvia constatazione che gli esseri umani hanno dotazioni naturali diverse (diseguaglianza naturale), i pensatori politici di tutte le epoche si sono chiesti se le diseguaglianze all’interno della società siano giuste (diseguaglianza politica e sociale). Un rapido affresco storico permette di ricostruire la storia della diseguaglianza in politica. L’invenzione della democrazia ad Atene nel 509 a.C. si fonda sulla nozione di “uguaglianza di fronte alla legge” (isonomia) pur nel permanere di diseguaglianze economiche e sociali. Il fondatore del pensiero politico occidentale, Platone, elabora il progetto di una città perfetta nella quale tutti i cittadini, concepiti come diseguali, sono felici. Il pensiero cristiano porterà l’innovazione dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani in quanto figli di Dio. Rousseau attribuirà alla società la creazione della diseguaglianza e la conseguente infelicità dell’uomo. Nell’Ottocento vi sono state due previsioni opposte sull’evolversi della diseguaglianza, quella di Marx, che ne prevedeva l’aumento, e quella di Tocqueville, che immaginava invece la crescita di una grande classe media. Nel Novecento, la diseguaglianza è al centro del pensiero di John Rawls (1971), il quale si domanda quali diseguaglianze siano accettabili in una società giusta. Nella nostra epoca la globalizzazione ha modificato le diseguaglianze mondiali, dando maggior rilievo al loro aspetto più eclatante, ovvero la disuguaglianza economica. Se questa appare minore quando la si valuti come elemento di differenza tra paesi, risulta invece via via maggiore se considerata all’interno dei paesi, soprattutto all’interno di quelli più ricchi. Va chiarito tuttavia che cosa si intenda per diseguaglianza economica, e ricordato anche come non sia mai stato un argomento di riflessione nel pensiero economico – e meno che mai oggetto delle attenzioni per la politica economica –riportando alcune posizioni molto nitide nel corso del Novecento, come, ad esempio,quella di Friedman. Doverosa anche una menzione a Dalton e alla deriva statistica di tutto il secolo scorso, alibi per un sempre più marcato disinteresse da parte degli economisti. Dunque perché noi economisti (sempre pochi, peraltro) ci interessiamo ora di disuguaglianza? Da un lato, il successo planetario del libro di Piketty – Il capitale nel XXI secolo – ha reso quasi ineluttabile parlarne. Dall’altro, alcuni importanti autori, come Atkinson, e i due premi Nobel Stiglitz e Deaton, hanno scritto libri dove ne sottolineano la pericolosità proprio per le sue conseguenze economiche. Ad esempio, la moderna teoria della crescita ci insegna che il capitale umano è il principale motore per il suo sviluppo. E capitale umano vuole dire istruzione, e istruzione di buon livello, e soprattutto istruzione al passo con le tecnologie. Situazione, dunque, fortemente minata dalla disuguaglianza delle opportunità, che è figlia di quella economica. Questi autori – e altri di discipline contigue, come gli scienziati politici o i sociologi – stanno incominciando a valutare la pericolosità della disuguaglianza anche sotto il profilo politico, come minaccia alla democrazia stessa, attraverso una sempre maggiore impermeabilità delle istituzioni alle classi meno abbienti e ai loro bisogni, con derive populistiche e/o particolarmente conservatrici, quali quelle cui stiamo assistendo ora in Europa. Quindi, la scienza e la teoria politica devono fronteggiare l’evidente crisi della democrazia contemporanea, che rappresenta una delle più forti sfide della nostra epoca.
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